Concorso letterario "Lavorando a maglia". Primo episodio

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Il mio primo lavoro a maglia
Se qualcuno mi avesse chiesto, avrei risposto che per anni pensavo d’aver combinato molto poco. Sembrava quasi non facessi niente. Presa dalle incombenze quotidiane, i giorni si infittivano quasi perdendo i loro connotati unici ed irripetibili. Intorno a me, le persone che amavo diventavano più vecchie, più grandi, più mature, addirittura autonome; qualcun altro se ne andava senza possibilità di ritorno. Come su un fiume ordinato, potevo quasi percorre lo scorrere che il tempo aveva avuto sulla mia esistenza navigandola. C’erano state delle anse, anni che sembravano fermi, lontani dalle correnti, come quelli in cui maturano i silenziosi frutti, anni di studio, di scoperta di sé; delle rapide, che per pochi giorni avevano accelerato la mia vita ed il mio cuore; ed improvvise spumeggianti cascate, in cui avevo preso delle decisioni irripetibili su cui non sarei mai più tornata indietro. Oggi riuscivo a vedere tutto questo scorrere, se qualcuno mi avesse chiesto, con la leggera indifferenza di una nuvola quieta in una bella notte di luna piena di luglio.
L’immagine è più bella della realtà, me ne rendo conto solo adesso. Se si è una donna, non c’è proprio niente di bello ad essere una nuvola! Avevo perso la mia energia, la mia vitalità, forse ero stanca, ma facevo fatica a ritrovare persino i miei ricordi. Cioè, a ricordare ricordavo tutto, ma non riuscivo a rivivere le emozioni; e ricordare senza emozionarsi, a cosa serve, a chi serve? Non a me, mi dicevo. Tenevo in mano le foto del mio matrimonio, del primo giorno di scuola di Roberto e dalla nascita di Giulia, ma dalle foto mi arrivava solo un bruisio di fondo, tutta quella vita, mi dicevo, dove è finita?
E poi, all’improvviso, così come pensavo che la quotidianità mi avesse scippato e defraudato della mia vita, con la stessa prosperosa noncuranza mi ripresentava i suoi doni. Sistemando un vecchio armadio in soffitta, tra i vari ammennicoli inutili e polverosi, saltò fuori, in un sacchetto ormai logoro, la prima copertina a maglia fatta da me. Bang! Avevo 25 anni, avevo scoperto qualcosa della vita e stavo diventando madre. E per la prima volta nella mia vita ero felice ed avevo paura, avevo paura per il parto, ma ero felice di avere un figlio che avrei amato e cresciuto, ma avevo paura di non esserne in grado, ma avevo grandi speranze per il futuro, ma ne avevo grande spavento. Ero molto confusa. Il mio corpo cambiava mese dopo mese, settimana dopo settimana. Giorno dopo giorno, così come Roberto cresceva dentro di me, io imparavo a lavorare a maglia facendo crescere insieme a mio figlio la mia sicura consapevolezza che lo avrebbe accolto sotto forma di una coperta di lana merino fatta da sua madre, fatta dalla madre, fatta da me.
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